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Snowboard sul Mutztagh-Ata (7546 M) – Intervista a Marco Galliano


Ho conosciuto Marco Galliano qualche anno fa.

Un conoscente comune ci mise in contatto proprio per lo snowboard-alpinismo, ci telefonammo e raccontammo quel che si faceva in montagna.

Da allora abbiamo viaggiato e corso insieme tante gare di backcountry (o snowboard-alpinismo) in giro per Italia, Francia e Svizzera.

La sua passione per lo snowboard, le montagne ed i viaggi lo hanno portato sulle montagne della Norvegia, in Turchia, in cima all’Elbrus nel Caucaso.

Nell’agosto 2006 si è spinto ancora più in alto, ai 7546 metri del Muztagh-Ata, in cinese il Padre delle montagne di ghiaccio, considerata la vetta scialpinistica più alta del mondo, primo italiano a salire e scendere con lo snowboard.

Conoscendolo so che questo effimero record gli interessa relativamente, il suo vero credo è di andare in montagna con la mentalità trasversale che contraddistingue il nostro piccolo mondo di snowboarder-alpinisti, cercando di prendere il meglio da entrambe le parti.

Con questa breve intervista capiremo meglio il personaggio.

GIANCARLO COSTA: Allora Marco, è più difficile salire e scendere o organizzare la spedizione al Muztagh-Ata?

MARCO GALLIANO: Le difficoltà indubbiamente sono di natura diversa.

Organizzando una spedizione, invece (anche se in questo caso preferirei definirla vacanza in alta quota), non si possono programmare anticipatamente i giorni necessari per raggiungere la vetta. Questa incognita, sommandola a tutto il lavoro che richiede un progetto simile, è snervante: le varie pratiche burocratiche semplici ma interminabili, l’attenta scelta dell’attrezzatura, lo studio di tutti i minimi particolari per ottimizzare il materiale, i continui ed intensi allenamenti. Tutto questo senza dimenticare il mio vero lavoro e la mia paziente fidanzata, non felicissima della mia partenza. Le difficoltà si sono risolte grazie all’energia che la montagna, la neve e lo snowboard trasmettono.

GC: Salire alla quota di 7546 metri senza l’uso di bombole d’ossigeno che problemi comporta? Cos’hai fatto per prepararti ed acclimatarti?

MG: Salire a questa quota è stata una nuova ed interessante esperienza. Il Muztagh-Ata è conosciuto come un 7000 tecnicamente facile. Il fatto che si arrivi in vetta con gli attrezzi ai piedi ne è la conferma. Non ho visto nessuno utilizzare bombole d’ossigeno. Certo che la quota si sente, nella prima notte passata al campo 2 (6400 m.) non ho fatto sogni d’oro. Sopra i 7000 m. è tutto molto più faticoso, il fisico si adatta solo perché costretto dalla nostra volontà, ho trovato forze che non conoscevo. Credo che ad una certa quota sia nata un’ulteriore complicità con la mia tavola. L’acclimatamento si affina durante le innumerevoli salite, mentre si trasporta tutto il materiale in quota e si montano i campi alti. Indubbiamente bisogna già partire con un buon allenamento di fondo. Durante la normale preparazione per la stagione agonistica invernale, ho inserito ripetute in quota con carichi simili a quelli che avrei dovuto sopportare, aumentando sempre più i dislivelli di ogni uscita. E’ fondamentale allenarsi sempre con nuovi e giusti stimoli, che non ti svuotino a livello emotivo, ma al contrario ti carichino con il giusto entusiasmo che solo un’esperienza simile già trasmette mesi prima della partenza.

GC: Un viaggio come questo ti ha messo in contatto con realtà lontane e diverse dalla nostra quotidianità. Viaggiando tra Kyrgyzstan e Cina, che differenze hai notato? Hai usato i portatori locali e che impressione ne hai ricavato?

MG: In questi villaggi di montagna, costumi e modi di vita sono molto simili tra i due popoli. Le tradizionali Yurta, tende dei pastori nomadi Kirghisi, sono presenti anche nei villaggi ai piedi del Muztagh-Ata, in Cina. La stessa cosa vale per il cappello dei pastori Kirghisi, che lo si vede in testa a tutti gli abitanti di questi villaggi, che vivono grazie alle spedizioni in cambio di ricche ricompense, ottenute offrendosi come portatori, mentre le donne ed i bambini mercanteggiano i loro prodotti artigianali. Non ho utilizzato i portatori per scelta, per salire la montagna solo con le mie forze, non perché non volessi dare lavoro a questi simpaticissimi ragazzi. A Kasgar, l’unica città Cinese dove abbiamo trascorso un paio di giorni, la vita è molto diversa. Si possono vedere le molte contraddizione di questa emergente società: caotici incroci tra auto e carretti trainati da vecchi asini, di fronte ad un enorme centro commerciale si trova un barbiere di strada ed a fianco di un moderno internet-point c’è un fabbro che forgia gli attrezzi da lavoro. Ogni volta che viaggio in luoghi a me sconosciuti, torno con un bagaglio di ricordi indelebili, che nessuno mi potrà portare via.

GC: In un’avventura come questa, quanto conta in percentuale lo snowboard in se, e quali sono tutti gli altri aspetti?

MG: Grazie allo snowboard, ho iniziato a viaggiare ed ho conosciuto molta gente. Figurati che sull’Elbrus (in Caucaso) avevo conosciuto una guida russa e senza saperlo, l’ho ritrovato proprio sul Muztagh-Ata. Come negli altri viaggi in Norvegia, Turchia e Caucaso, ho sempre viaggiato con e per il mio snowboard, scoprendo nuovi pendii da tracciare in massima libertà.

Qui è stato diverso, la voglia di avvicinarmi all’alta quota ha fatto si che arrivassi ad un compromesso. In Norvegia lo scopo era di fare più powder possibile ogni giorno, quindi sfruttando le lunghe giornate nordiche, arrivando a fare 2 o 3 gite al giorno. In Caucaso ed ancor di più in quest’ultima esperienza, raggiungere la vetta con lo snowboard è stato più importante.

Durante la salita mi sono chiesto più volte che cosa avrei fatto in caso di difficoltà con il peso della tavola. Aveva senso abbandonarla per il puro scopo della vetta? Continuo a ripetermi di NO, perché il mio modo di vivere la montagna, nasce dal piacere di ridiscenderla in snowboard. Chi prova la mia stessa intensa passione, mi può capire!

GC: Lo snowboard, fin dal suo avvento sulle montagne, è sempre stato guardato in un modo un po’ strano dalle altre realtà consolidate. Lo stesso discorso vale anche in una spedizione alpinistica ad alta quota?

MG: Credo sia ormai un dato di fatto che lo snowboard non è solo una moda, ma un vero e proprio attrezzo per andare in montagna. Basta rivedere quello che ha fatto l’indimenticabile Marco Siffredi! Lo snowboard s’è evoluto velocemente. Ora è un attrezzo affidabile e paragonabile allo sci. Indubbiamente il rispetto del mondo esterno deve guadagnarselo ogni singolo individuo e chi ha le orecchie per intendere intenda…

La spedizione è ancora un mondo a parte. Quando insegui determinati obbiettivi alpinistici, non ha più importanza l’attrezzo con il quale hai scelto di vivere queste esperienze.

E’ vero che lo snowboard non è il più adatto da portare in alta quota, ma è anche vero che con altri attrezzi non sarei mai stato così motivato.

GC: Tu non sei un alpinista professionista, come hai fatto a realizzare questa spedizione?

MG: Non voglio togliere nessun merito ai veri alpinisti professionisti, ai quali non mi paragono neppure. Non avrei le capacità per esserlo, ciò non toglie che, grazie allo snowboard (ho iniziato nell’89) e grazie alla voglia di misurare i miei limiti in montagna, ho riscontrato grande fiducia da parte delle ditte con le quali ho collaborato come promoter. Con la Custom Made Snowboards, stiamo lavorando per ottimizzare una tavola specifica per il backcountry. Tramite questi viaggi e l’organizzazione di eventi come l’MBR, televisioni e riviste specializzate mi hanno dedicato alcuni servizi redazionali, grazie ai quali ho contattato alcune aziende che vorrei ancora ringraziare per l’ottimo materiale fornitomi per quest’ultima avventura. Grazie alla The North Face, TSL, Ferrino, Kayland calzature, Monviso Ski, Maplus scioline, non soltanto ho raggiunto la vetta, ma l’ho poi ridiscesa integralmente con lo snowboard, in fondo il primo italiano a farlo.

GC: Quale sarà la prossima meta?

MG: Tu mi conosci, lo sai che se dico una cosa è perché ho già un progetto definitivo. Credo che la partenza sarà per l’autunno 2008, destinazione Cho Oyu.

Questa volta, se partirò, sarà una spedizione vera e propria quindi molto più complessa a livello organizzativo, ma soprattutto tecnicamente molto più impegnativa. Proprio per questo, non voglio parlarne, nel frattempo anche se non sarà facile, spero di trovare nuovi sponsor per abbattere i costi vivi della spedizione. L’unica certezza è che partirò sempre con la mia tavola!!

Giancarlo Costa

Snowboarder, corridore di montagna, autore per i siti outdoorpassion.it runningpassion.it snowpassion.it e bici.news. In passato collaboratore della rivista SNOWBOARDER MAGAZINE dal 1996 al 1999, collaboratore della rivista ON BOARD nel 2000. Responsabile tecnico della rivista BACKCOUNTRY nel 2001. Responsabile tecnico della rivista MONTAGNARD e MONTAGNARD FREE PRESS dal 2002 al 2006. Collaboratore della rivista MADE FOR SPORT nel 2006.