“VASALOPPET” la storia dello sci nordico – Vasa (SVE)
di Carmela Vergura
“La Vasaloppet gara regina dello sci nordico. La Vasa è unica, è la storia dello sci nordico. Solo chi ci è stato può capire cosa sia la VASA.”
Vasaloppet: la prestigiosa gara di sci di fondo che si tiene ogni anno in Svezia la prima domenica di marzo. E’ la più vecchia, la più lunga e la più grande gara di sci di fondo del mondo: si corre, infatti, dal 1922 sulla distanza di 90 chilometri a tecnica classica. Novanta chilometri sulla neve del nord, partendo da Salen.
Domenica 6 marzo 2011, 16500 sciatori partono sbracciandosi, puntando, spingendo, arrancando pur di portarsi avanti di qualche posticino, tra cui la sottoscritta!
E poi pregando, tutti ognuno nella sua lingua per arrivare al traguardo entro il tempo limite delle 15 ore. Questa che vi racconterò è la mia Vasaloppet.
Profondo nord, Svezia, da Salen a Mora, 90 chilometri, sci di fondo, tecnica classica. La decisione di partecipare a questo evento mondiale è nata casualmente.
Da un sogno nel cassetto di quelli che si pensano, non si possono mai avverare e, invece, quando si realizzano, non ti sembra vero!
Sarà stato il bianco della neve, la fatica del fondo, gli alberi di Natale; ma chi la fa almeno una volta, dicono a queste latitudini, va in paradiso. Per me è stato così, un momento di Paradiso da vivere.
Finora, in 84 edizioni, l’hanno fatta in più di 450000 persone. E’ stato calcolato che i chilometri sciati da questi aspiranti al paradiso, equivalgono a 990 volte il giro della Terra e a 52 volte il viaggio andata e ritorno dalla Luna. La prima volta è stata nel 1922: c’erano 75 centimetri di neve e 5 gradi sottozero, il vincitore ci mise più di sette ore e mezza. L’anno in cui c’è stata più neve il 1951: 125 centimetri! L’anno, anzi, gli anni in cui faceva più freddo il 1930 e il 1987: sotto di 30 gradi. L’anno in cui il vincitore ci ha messo meno tempo il 1998: 3 ore, 38 minuti e 57 secondi, alla media di 26 all’ora. La prima volta in cui sono state ufficialmente ammesse e classificate le donne il 1997.
Domenica 6 marzo 2011, siamo iscritti in 16 mila e 500 circa: dicono che 2 mila abbandonano lungo il percorso o non partono affatto. Tra gli iscritti si legge di tutto, Alaska, Cina, Irlanda, Israele, Nuova Zelanda, Pakistan, Emirati arabi, Africa, Australia, America, Russia, Spagna, Belgio, Danimarca, Olanda, Polonia, Inghilterra, Scozia, gli italiani sono sempre tanti, molto applauditi, perché Italia vuol dire Marcialonga, la Vasaloppet italiana.
“La Vasa non è solo partecipazione attiva degli atleti, ma è il contorno, fra partenza, percorso e traguardo, più di 50 mila spettatori. Poi quelli che la guarderanno in tv, in diretta: qualche milione. Poi quelli che la guarderanno e ne scriveranno, che la guarderanno e la fotograferanno, per professione. Poi quelli che, senza di loro, non si potrebbe fare: 3500 volontari di 50 associazioni, dagli sci club ai circoli culturali. La partenza è alle 8, ma c’è chi, per essere pronto per tempo, si alza alle 4, come la sottoscritta: sveglia alle 3, colazione alle 3.30, partenza per Salen con il bus alle 4.10. Dipende da dove si ha l’albergo. Chi dorme a Salen, si alza comunque alle 5 e mezzo: colazione, vestizione, trasferimento, poi l’attesa, al gelo. La mattina del 6 marzo ero pronta nel gruppo numero 9 alle 6.30. La temperatura è abbondantemente sotto i 10 gradi e c’è anche vento.
Il chilometro e mezzo di persone si anima con i colori dell’alba. Sembriamo fantasmi assonnati ma allo stesso tempo indaffarati. Poi auto e pullman scaricano gli sciatori. Tesi, nervosi, ansiosi. Infreddoliti, gelati, ghiacciati. Secchi, tirati, asciutti, imbacuccati, uomini, donne, barbe lunghe e code di cavallo. Chi si affretta a recuperare gli sci dalla sciolinatura appena fatta secondo tempo e temperatura, chi sgrana una barretta, chi fa la pipì. Quindi si entra nel recinto. Un cartellone con il numero 1 per i primi mille, poi il numero 2, il 3, il 4… Prima di entrare, un addetto e un cancello e una pedana, e suona il bip. Una corda separa i primi mille dai secondi mille dai terzi mille…
Gli imbacuccati si spogliano del superfluo, lo ficcano in una sacca, lanciano la sacca in un contenitore simile a quello della raccolta dell’immondizia, non tutti lo centrano: comunque ritroveranno la sacca al traguardo. C’è uno sciatore vestito da vichingo, elmo con due corna. C’è chi è vestito tecnico, chi da terzo millennio, chi ancora da Novecento.La Svezia è immobile, il miglio bianco formicola. Sotto: 17000 sciatori partenti, scalpitanti. Sopra: elicotteri, roboanti.
Non si vedono altro che fondisti e volontari, una folla incredibile, delle file lunghissime davanti le cabine dei bagni e come dei militari in attesa all’interno dei gruppi: gli sci piazzati in ordine sui binari. Alle 8.00 la partenza è per tutti, migliaia di sci si muoveranno contemporaneamente.
Leggo in una rivista che: “A pensarci, uno spreco. Uno spreco di energie: durante la Vasaloppet gli sciatori generano l’energia di 221 mila lampadine da 60 watt. Uno spreco di peso: nei 90 chilometri si perdono circa 3 chili. Uno spreco anche di altezza: per la pressione e lo sforzo, ogni concorrente si abbassa di 2 millimetri. Uno spreco di bere: nei sette punti di rifornimento saranno distribuiti 42 mila litri di brodo, 33 mila litri di bevande energetiche della Enervit, 5220 litri di caffè più altre bibite varie ed eventuali.” E poi ci sono le storie umane nel mezzo dello spettacolo: Bengt Eriksson, 78 anni, casa a Salen, ha fatto la Vasa 55 volte. Gunnar Sold, 81 anni, di Rattvik, è a quota 54, l’italiano che ha promesso a se stesso che se guariva dalla meningite avrebbe fatto la Vasa, oppure l’altro italiano che dopo la morte della moglie ha deciso di ricordarla facendo la gara. Solo piccole storie, ma forse ce ne sarebbero da raccontare 16500, una per ogni partecipante, come quella del vincitore di quest’anno Biorgen Brink 37 anni compiuti, uno dei più anziani vincitori della gara, anche quest’anno davanti a tutti in un tempo incredibile 3 ore 51 minuti.
Alla vigilia della gara i rituali sono sempre gli stessi, visita al capannone ospitante la FIERA “STADIUM”, Fabrizio la nostra guida ci ritira il pettorale, e cerca di convincere gli addetti alla consegna pettorali, con dei regali made in Italy di farci avanzare di qualche gruppo. A qualcuno riesce il colpo di fortuna, io avanzo dal 10 gruppo al nono, vuol dire che ne ho davanti solo 13000! Allo Stadium si studia la sciolina, si guardano i tecnici delle varie ditte che cosa propongono e se non si ha voglia di perdere tempo a sciolinare, con la modica cifra di 800 corone svedesi(pari a 80 euro) si possono avere gli sci preparati alla perfezione. Io sono per la sciolinatura degli amici italiani, mi metto nelle mani di Massimo e mi consiglia tre passate di rossa e tre di blu. Allo Stadium si trova di tutto, dall’abbigliamento, alle scioline. Nell’ aria si respira l’impresa, la sfida. C’è timore, tensione, Novanta chilometri sui binari sono tanti. Qui spiegano: Sulle orme degli antenati.
Sono pronta. Adesso o mai più. Mi assale l’ansia e un senso di soffocamento.
Quando i primi partono, nella pancia del gruppo si sta ancora raccogliendo la roba nei sacchi, Ci vogliono almeno 300 metri per arrivare alla partenza, poi tutti i 15000 in fila ad aspettare il proprio turno e sei finalmente in gara. “ Altri 500 metri a ritmo ragionevole e ci si blocca, tutti, tutti insieme, tranne i primi sempre più primi, davanti a una salita. Perché la pista si restringe. Un imbuto. Un collo di bottiglia verticale, quasi verticale. Tutti stretti, schiacciati, pressati. La massima densità umana di sciatori mai raggiunta nella storia. E quando tenti di arrampicarti, a spina di pesce, su quel collo di bottiglia verticale quasi verticale, è tutto un calpestamento di sci, bastoncini, gomiti. Si vede che la strada per il paradiso prevede un piccolo girone infernale, una bolgia preliminare.
Ho maledettamente freddo, le estremità sono congelate.
“Due chilometri e mezzo alzando il naso verso l’alto, in cerca di luce, e abbassando il muso, in cerca di spazio. Finché si scollina. Il fiume colorato si allunga, si scioglie, si spezza, invade i boschi, riempie le valli, anima la pista. E comincia la danza. Stile classico, passo alternato. Una sottile musica, ciascuno la sua, immaginaria, silenziosa, fantasiosa.”
Mi lascio andare e cerco i miei binari dove far suonare questi strumenti che sono gli sci. Non è facile sciare bene quando sei circondata da centinaia di sciatori, ma ci provo e diventa una gara ad ostacoli. Sui binari c’è di tutto, bastoncini spezzati, borracce, portaborracce, cappellini, buste di gel vuote, involucri alimentari di barrette, bicchieri di plastica, e alla fine, a forza di fare il salto agli ostacoli uno lo prendo in pieno sotto lo sci, in discesa, a metà gara. Un berrettino posato lì, quasi apposta ad aspettarmi: la caduta è stata inevitabile. Un tuffo in avanti, qualche giro su me stessa, e la spalla che ha subito il danno maggiore. A metà gara ho rischiato di uscire fuori dalla Vasa, ci ho messo qualche minuto per alzarmi e riprendermi senza piangere. La spalla a distanza di due settimane è ancora dolorante e nera….
Cinquantesimo chilometro ne mancanp quaranta, la temperatura è gradevole, la neve è bella, si va via bene, la giornata è piena di sole e distese di neve ci fanno compagnia in ambo i lati. I ristori sono presi d’assalto dall’esercito degli sciatori e tutti desiderano il nettare di mirtillo, bevanda storica in questa gara. Peccato per il resto del ristoro, solo pane indurito dal freddo e spicchi di arance. Un po’ poco per una gara così lunga. Meno male che ci sono i ristori degli amici spettatori e dei vari sci club, si può mangiare qualcosa di più adatto. Le ore trascorrono lentamente e inesorabilmente, passo tutti i cancelli orari agevolmente, mi permetto persino il lusso di fermarmi a fare delle foto, ogni tanto mi saluto con qualche italiano. Li riconosco un po’ dalle divise e dal fatto che per l’occasione ho indossato una maglia e un cappellino tricolore. La stanchezza inizia a farsi sentire al settantesimo.
La spalla e le gambe sono doloranti, ma resisto. I saliscendi sono continui e costanti, ed ecco che mancano i fatidici ultimi 5 chilometri. Si risale e si ridiscende, le luci di Mora non si vedono, spingo e prego. Prego e spingo, infine l’ultimo fatidico storico cartello: 1 km al traguardo. Ancora l’insidia della salita prima del rettilineo finale, ecco la mia Vasa è conquistata, saluto i tifosi, ce ne sono tantissimi, tifo da stadio, scatto delle foto, mi fermo sotto il traguardo, lo speaker annuncia il mio nome. Felicità e lacrime liberatorie di stanchezza. 9 ore 30 minuti per conquistare la terra svedese.
Il pensiero è per tutti, per i familiari che mi aspettano in Italia, per gli amici e i parenti che non ci sono più e per tutti quelli che credono in queste imprese come momento di vita, di emozione e di…paradiso.