Il racconto del Mezzalama 2009
Chissà cosa penserebbe oggi Ottorino Mezzalama vedendo le
immagini della gara a lui intitolata. Certo 80 anni fa non si sarebbe neppure
lontanamente immaginato un fiume di scialpinisti, 729 in tutto, che in poco
tempo, dalle 4h01’22 dei primi tre alle 9h17’43 degli ultimi, sono partiti da
Cervinia e sono arrivati a Gressoney-La-Triniteè, su un tracciato di 45 km,
salendo per 2862 metri e scendendo per 3145.
Immagino anche un perbacco! alla notizia che partendo da
Cervinia i primi, per la precisione Pellissier-Lenzi-Pedrini, ad arrivare in vetta
al Castore (4226 metri) hanno impiegato 2h34′.
Già allora s’indossavano i pantaloni alla zuava, e il nostro
eroe (Ottorino Mezzalama) faceva scialpinismo senza usare le pelli di foca per
la salita.
Dovrebbero sembrare dei marziani non solo i vincitori,
Matteo Eydallin, Denis Trento e Manfred Reichegger, atleti professionisti del
Centro Sportivo Esercito di Courmayeur, ma anche chi ha corso il Mezzalama in
6, 7, 8 ore, rubando le ore per gli allenamenti al sonno, alle famiglie o alle
fidanzate (o ai fidanzati), partendo magari alle 7 di sera dalle città per fare
qualche ripetuta di notte su qualche pista, giocando a guardie e ladri con i
gattisti, preoccupati di non farsi rovinare le piste appena fresate per gli
sciatori del mattino dopo.
Marziani dalle tutine colorate, dai caschi aerodinamici, ma
marziani dal cuore e dal piede montanaro, non solo cronometro ed integratori,
ma anche discese solitarie su qualche canale nord a 45°, o freeride nei boschi
o dai tetti delle case, come quel simpatico folletto di Matteo Eydallin, il
vincitore che ho videointervistato dopo l’arrivo, visto crescere tra le corse
in montagna storiche fino alle vittorie della Pierra Menta, del Tour du Rutor e
del Mezzalama 2009, insomma l’Olimpo dello scialpinismo.
Bisognerebbe chiamarli per nome, uno per uno, ma per questo
c’è la classifica. Bisognerebbe raccontare le loro storie, cordate formate
dalle persone più eterogenee, magari la guida legata con un maestro di sci e un
dentista, oppure chi conosce i compagni d’avventura tre giorni prima di
partire, sostituendo un infortunato dell’ultima ora, tutte persone accomunate
da un unico sogno, quello di finire il Mezzalama, a prescindere dal risultato.
Tutti hanno tenuto duro dopo l’annullamento del 19 aprile,
per quella colossale nevicata, che ha obbligato Adriano Favre, mente e cuore
organizzativo di questa gara, a prendere la decisione più temuta, annullare e
rimandare a ieri il Mezzalama. Tenere alta la concentrazione per tutti non è
stato semplice, ma vedere il Monte Rosa, la gara, gli atleti, ha ripagato tutti
per queste altre due settimane di passione.
E pazienza se per tanti le gare di scialpinismo rimangono
una baracconata, che ha poco a che vedere con il vero alpinismo, come se la
velocità non fosse un valore dell’andare in montagna. A chi predica questa
retorica un po’ datata, bisognerebbe ricordare che tante imprese alpinistiche
vedono a volte, a tanti anni di distanza, raccontare una verità diversa da
quelle tramandate dalla leggenda. Così ci sono voluti 50 anni per riabilitare
la figura di Walter Bonatti nella conquista italiana del K2, oppure scoprire da poco, da un libro indagine di Reinhold
Messner, che forse Cesare Maestri non è mai salito sul Cerro Torre in
Patagonia. La lente d’ingrandimento di una gara, di un pettorale, del cronometro,
mette a nudo pregi e difetti di chi vi partecipa e non per questo toglie
l’alone epico di leggenda per queste imprese sportive, fatte da grandi
atleti, sconosciuti a chi magari si occupa solo di calcio e F1, ma che portano
l’Italia al vertice mondiale dello scialpinismo.